Lasciatasi definitivamente alle spalle la crisi di maturità vissuta negli anni scorsi, il distretto della calzatura sportiva che fa capo a Montebelluna (Treviso) ha chiuso il 2000 con un fatturato a 2.854 miliardi, in crescita del 22,1% rispetto al 1999.
Una visione generale è data dall’annuale rapporto Osem-Venetobanca curato dalla Fondazione Museo dello scarpone, che fotografa una situazione in gran fermento, con contraddizioni ma anche ottime prospettive.
Il numero totale delle aziende è sceso da 491 a 450, ma gli occupati sono passati da 8.596 a 8.897 (+3,5%). Ma questa è solo la punta dell’iceberg. Il distretto può contare nel mondo su una rete di almeno altri 70mila addetti sparsi in una trentina di paesi. Il 48% di chi ha delocalizzato la produzione è andato in Romania, l’11% in Croazia, l’8% nel Far East; seguono Ungheria, Slovacchia, Serbia, Cina.
Il cervello, però, è rimasto saldamente qui a guidare con strumenti sempre più virtuali una rete ormai consolidata e affidabile. Solo lo 0,9% delle azienda ha arrischiato l’esportazione di ideazione e design.
A far girare il vento in senso favorevole hanno contribuito il rilancio di aziende storiche come Lotto e Diadora e, soprattutto, l’ampliamento della gamma di produzione e la conquista di nicchie sempre nuove.
Lo scorso anno il fatturato delle calzature per il tennis è cresciuto del 105%, per jogging-running del 157%, per il calcio del 41%, per lo snowboard del 42 per cento. Non solo. Gli imprenditori hanno fiutato la possibilità di una sinergia interessante con il fashion, all’insegna di quel made in Italy che vedono premiato in ogni angolo del mondo. Il fatturato dell'abbigliamento nel distretto è passato in un anno da 264 a 448 miliardi.
Il futuro, a questo punto, appare più roseo: gli incrementi di mercato per il 2001 sono stimati sul 25% circa. L’importante sarà non abbassare la guardia, non abdicare al ruolo di guida ma anche rafforzare un sistema che ha ancora un grande bisogno di servizi, strutture e formazione.